La spiaggia di riso

La spiaggia di riso

Quando ci si avvicina a Is Arutas, nella Penisola del Sinis, non lontano da Cabras, in una delle tante giornate calde del mese di luglio, l’occhio cerca subito il mare.

Sin da lontano lo cerca. Lo scruta, lo osserva, e non sa dove inizia l’acqua e dove finisce il cielo. L’orizzonte confonde le idee, e la vista. E quando finalmente si raggiunge la spiaggia, dopo macchie di vegetazione mediterranea e palme che mettono di buon umore, il mare si presenta con quei colori che oscillano tra il verde e il turchese e che ormai sono l’immagine più famosa della Sardegna nel mondo.

Quasi trasparente in riva e poi di colore sempre più intenso, fino a diventare blu verso il largo. Eppure non è il mare a fare di Is Arutas una delle spiagge più incontaminate dell’isola mediterranea, ma la sabbia. Quella polverina magica che resta fresca nonostante le temperature calde e che è di un bianco così candido da conquistarsi il soprannome di “spiaggia di riso”. Chicchi di riso, ma anche piccoli cristalli tondeggianti.

La spiaggia di Is Arutas, che in sardo significa spiaggia Delle Grotte, come quella meno famosa ma non meno bella di Mari Ermi, si caratterizza proprio per queste vaste distese di quarzi bianchi, che le rendono uniche non solo in Sardegna, ma probabilmente in tutta Italia. Queste sabbie così preziose sono nate dall’erosione lenta e secolare dei quarzi della vicina isola di Mal di Ventre quando 600 milioni di anni fa, dopo il raffreddamento delle rocce, i graniti dell’isola subirono l’erosione degli agenti atmosferici e i quarzi furono lentamente trascinati dalle correnti sulle coste, rimanendo intatti.

E così hanno reso Is Arutas non solo bella da un punto di vista paesaggistico, ma anche di grande valore da un punto di vista geologico. Al punto che l’incivile abitudine dei turisti che un tempo portavano via i quarzi come souvenir, oggi è adeguatamente sanzionata. Ma i conti vanno fatti anche con un passato di speculazione e di scarso rispetto per l’ambiente.

Quando negli anni Settanta da queste spiagge fu portata via tantissima sabbia per riempire altri tratti di costa prevalentemente rocciosi, soprattutto in Costa Smeralda, e quindi incompatibili con le esigenze dei nascenti villaggi turistici come narra Michela Murgia in “Viaggio in Sardegna”.

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