L’isola dei Cavoli

L’isola dei Cavoli

Si era ancora nel secolo sedicesimo, quando i Pisani registrarono a modo loro, con un italiano da colonizzatori, il nome dell'Isola dei cavoli.

De Is cavurus, che in sardo significa dei granchi: lo strafalcione che si è tramandato, e che i linguisti guardano con ironia, potrebbe essere considerato un simbolo delle difficoltà di comprensione fra la Sardegna e il resto della penisola, una distanza culturale molto più vasta del Tirreno.

Eppure oggi l'isolotto, disabitato se non fosse per gli studiosi dell’università di Cagliari che vi hanno stabilito il centro ricerche della facoltà di Biologia, è diventato un luogo di unione, in omaggio alla vocazione turistica della zona, a meno di un chilometro dalla terraferma e poco lontano dal magnete turistico di Villasimius. Il braccio di mare che lo separa da Capo Carbonara, punta estrema meridionale sulla costa Est della Sardegna, non è altro che un legame, sia pure coperto dai flutti.

Come sempre in Sardegna, la curiosità dei viaggiatori è stuzzicata dalla storia come dalla geografia. La prima registra la vocazione all'assistenza per i naviganti, con il faro costruito attorno alla metà dell'Ottocento, ma su una torre di avvistamento spagnola che risaliva a fine Cinquecento. La modernità è celebrata dai sistemi elettronici che oggi governano l'antico faro dalle pareti ricoperte di tessere bianche cangianti, di norma visitabile dai turisti. Il passato si può ritrovare nell’iscrizione latina “Cavoli insula, carcer sine claustris” (in realtà realizzata in tempi molto recenti) che definisce l'isola “Carcere senza sbarre”.

Non manca, com'è giusto, l’omaggio al Mediterraneo, che ha preteso e continua a pretendere, adesso come in passato, le vite di marinai e migranti, a centinaia. A una dozzina di metri di profondità, una statua di granito dedicata alla Madonna del Naufrago dovrebbe intercedere e proteggere le anime di chi si affida al mare.

E forse non è un caso che l'opera, creazione dello scultore Pinuccio Sciola, sia stata deposta nel 1979 fra gli scogli nel sud dell'isola, cioè in direzione dell'Africa. La Vergine tiene fra le braccia un bambino, e ha lo sguardo verso l'alto, come a chiedere una grazia. E come a ricordare che in tutti i momenti storici, chi rischia avventurandosi nel mare, rischia la vita.

La statua è il punto di riferimento dell'area marina protetta: quasi un monito, nei fondali ricchi di cernie e di saraghi, a ricordare sempre il Mare Nostrum, patrimonio comune ma anche compagno degno di rispetto dell’avventura umana.

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